Walasse Ting
gouaches – 1987-1988
Testo di Alberico Sala
La tentazione di decifrare la foresta di simboli e metafore che avvolge chi percorra la mostra del pittore Walasse Ting, è subito travolta dalla festa di colori, dal tripudio (apparentemente pudico) delle forme femminili, in un gioioso decoro di uccelli, anzi proprio di pappagalli.
I pappagalli parlano, e ci si chiede che cosa sussurrino, nell’aria in cui stanno sospese, come fragili erme, le donne evocate, immaginate da Ting. È una folta rappresentazione del corteggiamento, del ciarliero assedio di queste dame taciturne, enigmatiche, che chissà da quale città o giardini proibiti sono uscite, o sono tenute prigioniere, con amore.
Gli uccelli delle remote dinastie cinesi erano, preferibilmente, azzurri; alcuni appollaiati sui rami più alti dell’albero cosmico, presso il paradiso; uccelli che attaccano serpenti, idee stesse della donna (si potrebbe malignare). Qui i pappagalli sono affabili, accompagnano la donna, leggiadra deità che ha posato i piedi sull’erba della terra.
Ancora s’affaccia la simbologia (magari l’ornitomanzia, l’interpretazione dei voli e dei gridi). Ma, qui, è più giudizioso guardare all’esperienza, così suggestiva e suggerente, di Walasse Ting, tornato, dopo sei anni, ad esporre a Milano. Ting è cinese, ma vive e lavora, da anni, a New York dopo un intenso soggiorno parigino.
La sua pittura, su carta di riso, si anima all’incontro Oriente Occidente, coniugando peso e leggerezza, velature e corposità cromatiche. Una pittura di grazia naturale, filtrazioni colte, e nitide memorie; armonizzazione fra la linea (privilegiata in Oriente) e il volume (prediletto dall’Occidente), secondo lo schema di Mark Tobey che, in Cina, s’era esercitato con l’inchiostro sumi e il pennello.
A Walasse Ting è riuscito di far coabitare gli estremi. Dai grandi fogli della civiltà cinese, le sue donne (dalle fessure degli occhi, interrogano), entrano in un’aria mitteleuropea, con larghi cappelli, un decoro con riflessi liberty.
I corpi flessuosi mischiano i lievi colori con i pappagalli. Dominano i rossi e i verdi, sui quali spiccano i pallori lunari dei volti e delle mani, o il tenue rossore, per segreti, repentini movimenti del cuore e della mente.
Fiori e frutta circondano l’elegante gineceo. In processione (ritmi musicali sommessi), le metamorfosi sono scambievoli, fra donne e pappagalli. Hanno appena abbandonato la riva del fiume; la pioggia di primavera le ha coperte di colori.
S’ode (se bene s’ascolta) la ballata del poeta Li Po: «… Tremila coppie di sopracciglia arcuate – offrono risa e canti -… Che duri come i monti del Sud – la tua vita…».