Nancy Spero
Projected Artists – Obiettivo Roma in collaborazione con Studio Stefania Miscetti
proiezioni e gouaches
2RC Roma – 1996
Testo di Alessandra Mammì
Peinture féminine
Nancy Spero non vuole parlare di donne. Nè parlare fra donne. Vuole la parola delle donne. Il linguaggio delle donne. E non è una parola al femminile ne una parola femminista. E’ una parola antica, una cantilena, un sussurro, un sottofondo costante che ha accompagnato la storia, come un commento sommesso. E’ un’immagine che si ripete, si rincorre e si perde in un infinito cartiglio. Nancy Spero lo ha appoggiato alle pareti, fermato con punti leggeri, sospeso appena fra l’aria e il muro: esattamente come un velo, anzi %l velo” impregnato da tutti i volti di donna che ha coperto, da tutti i corpi che ha nascosto, da tutte le stanze a cui ha negato la luce diretta del sole. Quelle storie che andavano taciute si sono stampate nella trama del tessuto e adesso sono finalmente rivelate sotto forma di un fregio che dall’Antico Egitto arriva fino a noi raccontando sempre la stessa storia, che si ripete come una nenia, fra sussurri e grida, sempre sotto-tono o sopra-tono rispetto alla perfetta e scandita dizione della Parola della Storia.
Peinture féminine. Così, in francese vuole l’artista, come equivalente dell’écriture féminine linguaggio sommerso e negato che aveva accompagnato l’umanità, s’era stampato nell’inconscio, aveva formato le nostre menti eppure non aveva mai avuto diritto d’accesso all’ Encyclopédie. Le scrittrici francesi femministe negli anni Settanta cercavano e rielaboravano quel linguaggio, per restituirgli dignità di scrittura. E dignìtá di pittura Nancy Spero cerca di restituire alle icone di donne sottratte al giudizio della storia e lasciate fibere, fluttuanti in un tempo e in uno spazio altro e dìverso, dove Marlene Dietrich può accompagnare le suonatrici di flauto egizie, e le veneri steatopigie d’epoca primitiva possono posarsi accanto a quelle anoressiche d’epoca contemporanea. Tutte lì, affioranti sulle pareti a connotare con la loro presenza uno spazio non modificato nella struttura, ma sovvertito nella sostanza.La peinture féminine non punta il dito su vittime e carnefici, non s’accontenta della cronaca, non è figlia del politically correct, non scandisce slogan, non usa immagini della realtà per denunciarne l’orrore. Non grida messaggi ma lavora nel profondo sulla struttura del linguaggio. E in questo Nancy Spero tradisce la sua formazione europea, i suoi studi all’Ecole des Beaux Arts, la sua permanenza a Parigi, un impegno politico che punta prima a modificare il pensiero e poi a modificare il mondo. Era così anche quando, all’inizio degli anni Sessanta, Nancy Spero usava la parola per raccontare fatti, stampare sui cartígli storie di dee e di comuni massacri tratti da libri e da giornali, con i testi che si accavallavano e le parole altalenanti. La storia andava, veniva, s’interrompeva, come seguisse i ritmi di un respiro, di una parola detta e non scritta. Ancora una volta erano parole di donne, o di vittime, parole dette da coloro che hanno sempre un ruolo secondo e anonimo nei grandi scenari della Storia. Nancy Spero: “Le idee e le parole non sono allineate in una progressione ordinata ma indugiano e ripartono, girano intorno, cambiano direzione e contesto. E’ questo il parlare vivo – la voce che si cela dietro al discorso formale (che la intimidisce). E le donne la cui scrittura si situa fuori dal verbo (logos) e che sono state escluse dal canone (dell’arte e di altro), sono state le custodi della lingua, della lingua materna. La voce del linguaggio femminile non lineare, indugiante (pieno di spazi vuoti), intimo (non autoritario e riferito al corpo), corrisponde al mio linguaggio visivo (peinture féminine)”.
Peinture féminine. Presuppone un gran lavoro. Tutte quelle figure ritagliate, incollate, stampate, acquarellate, che brulicano sulle pareti, s’arrampicano, danzano… Una tessitura operosa e potenzialmente infinita che può coprire come una ragnatela ogni parete, ogni muro, ogni cosa, tutto il mondo… Un lavoro paziente che ricomincia ogni volta come i gesti femminili, ogni volta uguali a se stessi per nutrire, accudire, allevare, educare l’intera umanità. Ogni mostra è un inizio che si lega idealmente a un’altra mostra, ogni installazione appartiene alla collana di tutte le installazioni. Le figure ritornano, si ripetono, di mostra in mostra, di installazione in installazione, cicliche come il tempo delle donne, come il ritmo della luna che ritorna su stessa, che ricomincia ogni volta ad apparire, a scomparire. Chi sono, che fanno quelle figure? Sono quello che fanno. La suonatrice di flauto, la danzatrice, la meretrice, l’attrice, l’acrobata… 1 loro gesti le battezzano più che i loro nomi. Finalmente, qui, protagoniste della commedia umana.
Peinture féminine. E infine il colore. Solo adesso (nei lavori degli ultimi tre anni) si stende in campiture decise. Quelle donne sospese nella luce, nell’aria, nel vuoto hanno uno sfondo, uno schermo. Non più presenze discrete, non più ‘genius loci’. Nancy Spero le espone al confronto con la Pittura: la grande tradizione della pittura astratta americana, la grande tradizione cromatica europea. Ora le sue figure devono misurarsi con lo spazio dei colori, con le loro risonanze, le loro simbologie. Il coro sommesso si è trasformato in polifonia, la parola incerta in canto, il respiro in suono. Ma la peinture féminine ha una storia così antica da trascinare dentro di se anche la Grande Pittura. E i colori, le campiture, le geometrie, sono assorbiti armonizzati come tessere di un’ìmmensa decorazione che dalle trame di un tappeto, dai bordi di un piatto, dai disegni di una stoffa si dilatano fino a sfidare a viso aperto la Pittura, assertiva e maiuscola. Ed ecco il cartiglio infinito al posto dello spazio definito della tela, ecco i colori che si snodano e scivolano l’uno nell’altro contro l’assoluto controllo delle tessiture cromatiche, ecco la danza fra figure femminili e geometrie di colori che nega la lotta concettuale fra figurativo e astratto come un problema lontano, un discutere che appartiene a un altro luogo. Perchè questa è un’altra storia: è l’histoire féminine.