Victor Pasmore
opere grafiche
2RC Roma – Milano – 1982
Lei ha affermato che: “Il contenuto e il significato dell’arte sono costituiti da ciò che vi infondono l’artista e la società”. Oggi l’artista e la società in cosa contribuiscono all’arte? Oual’è il ruolo dell’arte?
L’arte ha avuto molti maestri, si è manifestata sotto vari aspetti, è stata associata a molti contenuti diversi e ha avuto numerose funzioni estranee, ma tutte queste manifestazioni raggiungono una loro unità nel contesto di una specifica facoltà della psiche umana: la sensibilità estetica. Tuttavia, benché l’arte nasca dalla sensibilità e venga oggi praticata in un’epoca plasmata dalla scienza, la sua funzione primordiale rimane materia di fede: non perché si tratti di una religione, ma perché l’oggetto cui volge la testa, come il girasole che segue il sole, è definito nel linguaggio degli uomini come “La Bellezza”. “Vedere la Bellezza nelle cose”, scrisse Leonardo da Vinci, “significa unirle all’infinito”. Per questo motivo durante il Rinascimento la sensibilità estetica veniva considerata come l’anello tra la natura e l’uomo. Nei due casi, quindi, l’immagine della bellezza e il suo equivalente nel campo dell’arte hanno rivestito la funzione di simbolo dell’unione tra uomo e universo. Oggi non vi sono prove che dimostrino che tale funzione sia alterata, perché la fede nell’arte è un prodotto del subconscio della psiche, e non della conoscenza. Quello che è cambiato allora non è il contenuto intrinseco, ma l’immagine estranea. Oggi che la società ha accettato i concetti e le implicazioni rivoluzionarie della scienza moderna, non è sostenibile una visione perfettamente estranea dei mondo come punto di vista assoluto, perché l’uomo e la natura hanno cominciato a unificarsi con consapevolezza. In effetti si sta verificando una nuova rivoluzione copernicana, questa volta però rispetto all’uomo, e non alla terra.
Ciò significa che, dal punto di vista della pittura naturalista, non sì tratta più di percepire il mondo attraverso la visione, ma significa anche che l’uomo deve considerarsi come un aspetto integrante della natura. Nelcontesto di questo nuovo umanesimo e naturalismo, la pittura e la scultura insieme alla scienza e alla tecnologia si sono emancipate. L’uomo e la natura esistono sempre, ma il foro rapporto è ormai diverso.
Sono forse le implicazioni di questa nuova consapevolezza che rappresentano quell’aspetto della filosofia che il pittore, fin dalla rivoluzione cubista, esprime nell’arte. Che l’arte sia anche un articolo di fede per la società è evidente dal fatto che, dopo l’abbandono delle chiese da parte dell’artista, vennero costruiti i templi dell’arte – ossia i musei di pittura e di scultura. Queste istituzioni non hanno nessuna utilità pratica,tuttavia costituiscono luoghi di pellegrinaggio continuo della società contemporanea. Però sarebbe un grave errore di valutazione dedurre che tali posti non abbiano altra funzione che la conservazione dei mobili della storia, oppure quella di permetterci di passare piacevolmente la domenica pomeriggio . Anche la società avverte il richiamo dei subconscio. Può darsi quindi che le immagini astratte ed autonome della scultura e della pittura moderna rappresentino la nuova progenie della scienza che ora si profila per rafforzare una nuova consapevolezza e per fornire quello sviluppo così necessario alle implicazioni della nuova cosmologia.
Cos’è la píttura indipendente? L’arte moderna può essere autosufficiente?
La pittura indipendente, nel senso che do a questo termine, significa una totale indipendenza della materia e della rappresentazione visiva, cioè, una condizione analoga a quella della musica. Che poi questo sviluppo non si sia pienamente realizzato prima dei nostro secolo è forse dovuto a fattori tecnici più che ideologici. I problemi che derivano dalla differenza tra la complessità dell’esperienza visiva e la ristrettezza della percezione uditiva contribuiscono inevitabilmente a sollevare la questione seguente: è possibile creare una pittura libera come la musica, senza però incorrere nella diminuzione delle sue facoltà? La tradizionale alleanza tra la rappresentazione pittorica e il linguaggio descrittivo della letteratura ha collegato la pittura al mondo visivo nel contesto di un rapporto diretto e one-to-one che le ha regalato un aspetto concettuale irraggiungibile nella musica. Tuttavia il prezzo di tale alleanza è l’incapacità della pittura a raggiungere gli effetti emotivi della musica. L’autonomia completa quindi offre nuova potenzialità alla pittura ad esprimersi in termini visivi ed emotivi più forti. L’autosufficienza si riferisce soltanto alla forma materiale della pittura e non al suo contenuto intrinseco, sicché la questione della validità rispetto al mondo moderno non viene necessariamente sollevata. In effetti, il solo fatto che l’indipendenza della pittura sia un prodotto esclusivo dei ventesimo secolo significa che è caratterizzata da una capacità simbolica atta ad esprimere certi aspetti dei pensiero della nostra epoca.
La parola “development” compare nei titoli di numerose sue opere e scritti, insieme al termine “research”. Cosa rivelano queste due parole rispetto al Suo rapporto con l’arte?
Mi sono servito della parola “development” nel contesto di alcune opere per indicare l’operazione intrinseca ed organica che le ha fatte nascere. Inoltre la parola “development”, o sviluppo, sottintende un elemento di movimento e di estensione infinita, mentre titoli come “composizione”, “pittura” o “costruzione” hanno un significato puramente statico.
Ieri ha parlato di un Suo “ritorno alla piittura”. Che cosa significa questa frase? In altri termini, quando lasciò la pittura e come si definisce il suo ritorno?
Le mie prime esperienze mi fecero pensare che il formato bidimensionale della pittura non poteva essere in grado, di per sé, di soddisfare le condizioni della totale indipendenza, perché una superficie piana non è compatibile con l’esperienza tridimensionale della percezione visiva e quindi non è capace di comprendere l’intera gamma della visione estetica. Deducevo quindi che l’indipendenza fosse realizzabile soltanto nel contesto della scultura. Per eliminare tale divergenza cominciai a sperimentare con la pittura in rilievo: cioè proiettando in avanti alcune sezioni della superficie in modo da creare una vera terza dimensione davanti al piano dei quadro, invece di uno spazio illusorio retrostante formato dalla rappresentazione in prospettiva. Ma arrivai al punto in cui non era possibile estendere ulteriormente tali proiezioni per motivi strutturali, e allora si rivelarono le limitazioni dimensionali dei rilievo, che rimaneva legato alla superficie. Era chiaro quindi che il progresso della pittura verso l’autonomia aveva imbroccato una via senza uscita. Tuttavia rifiutare la pittura a favore della scultura non avrebbe risolto il problema dell’autonomia. In quel periodo il gruppo di Ricerca Visiva a Parigi realizzava delle esperienze che dimostravano la potenzialità illusionistica della pittura pura, basata sull’esempio dei mascheramento mediante la quale era possibile rendere la superficie otticamente ambigua e non-dimensionale. Mentre all’inizio rifiutai tali esperienze definendole come un passo regressivo, poco a poco mi resi conto che offrivano una nuova potenzialità allo sviluppo dell’autonomia della pittura, perché l’illusione viene creata dalla stessa pittura concreta e non imposta dall’artista. Inoltre l’ampliamento soggettivo della superficie della pittura forniva un’ottima analogia rispetto alla relatività dello spazio e dei tempo, espressa nella pittura per la prima volta dai cubisti. Era inevitabile che le implicazioni di tale sviluppo dessero un nuovo stimolo all’idea della pittura autonoma, perché era ormai chiaro che la sua realtà fisica non si poteva misurare in base all’equivalenza con il mondo naturale. Ciò che importa nella pittura non sono le dimensioni reali, ma la facoltà della forma e dell’immagine di provocare un ampliamento soggettivo. Una volta risolto il problema della dimensionalità, quindi, un mio ritorno alla pittura si rivelava necessario allo scopo di eventuali ulteriori progressi.
Il suo lavoro sembra caratterizzato da un dialogo continuo tra il razionale (“L’unico campo che mi sembrava suscettibile allo sviluppo razionale e determinato riguardava la forma puramente astratta”) e l’irrazionale (Quando dorme la ragione il simbolo si sveglia”). Quale il significato di ciascuno? Come si conciliano?
Sì, questo dialogo rappresenta un fattore da me consapevolmente espresso nel mio lavoro da quando mi interessai alle spiegazioni dialettiche e relativiste della filosofia moderna della natura e- la loro applicazione alla pittura nelle teorie di Cézanne e dei cubisti. Tuttavia in pratica trovai che le implicazioni ambigue di tale dialettica applicate alla rappresentazione visiva portavano non solo al l’indeterminatezza della forma pittorica, ma anche alla disintegrazione dell’oggetto visuale durante l’operazione della pittura. Rispetto al fattore írrazionale, posso dire che tutta la pittura dipende dal dialogo tra fattori razionali ed irrazionali, la forma oggettiva dell’opera da una parte e l’immagine soggettiva dall’altra. La prima è suscettibile alla costruzione logica e la seconda nasce spontanea dalle fonti dei subconscio. E’ in questo senso che il simbolo si sveglia.
Alcune delle sue recenti opere hanno titoli letterari, oppure attinenti alla poesia. C’è una simbologia precisa?
Dipende dal modo in cui si definisce la parola simbolo, dal momento che c’è una differenza tra simbolo e segno. Il segno è un elemento rappresentativo, conscio, ma il simbolo comporta delle implicazioni che riguardano il subconscio. Nei quadri ai quali Lei accenna il titolo non è una descrizione dell’immagine pittorica, e l’immagine pittorica non è l’illustrazione né il segno dei titolo. Al contrario, vengono contrapposte delle immagini visive e letterarie indipendenti, allo scopo di vitalizzarsi e di completarsi a vicenda mediante un rapporto irrazionale, così da incrementare la dimensione soggettiva dell’opera. Nel mio lavoro si tratta semplicemente di un’ulteriore esperienza nella ricerca delle potenzialità eventuali della pittura moderna.
Da “RETINA” giugno 1982