Achille Perilli

opere grafiche
2RC Roma – Milano – 1976

Glossario – 1974

incisione

In principio era Odradek,

il rocchetto sbilenco di fili a grovigli,

la stella di refe sorniona che incespica e cade, 

destando le sollecitudini del capofamiglia.

Perilli aveva a lungo osservato quel simulacro un po’ brillo.

Possedeva una buffa provvista di scatole cubiche e rettangolari,

da scarpe, da uova pasquali, da tubi di vinavíl,

aperte da un lato come teatrini senza velari.

Sognava da tempo di fabbricare un’interastirpe di macchine incongrue, di ordigni deliranti.

Leggeva « Locus Solus » ogni sera,Roussel, il più bislacco dei moderni negromanti,

inventore di astrusi meccanismi.

E un giorno cominciò ad ammucchiaredadi e losanghe di scatole, diafani prismi,

alle corte compose una cosmogonia scatolare,

una Mirandola, un universo incantatodi rampantí congegni e burleschi meccani.

Ma soprattutto era ancora inebriato della giocoleria del quadrato.

maleficio di anni lontani.

Eccolo il suo baraccone di scatole ribalde,

boites, Schachtel, koròbki, krabicky,

di scatole ambigue che si ribaltano,smaniose, sonnambule, alticce.

Di scatole, le cui glabre fiancatesi spalancano come le stive di navi,

di scatole matte,scalette, lanterne, organini di scatole impavide,

che si aggrappano come farfalle clownesche a un quadrato,

che si incastrano e aggreganocome i fonemi nei rebus e nelle orditure

del mago Roussel, penetrandol’una nell’altra spavalde ed allegree come di contrabbando

con giunti e innesti impossibili e grande doviziadi ironiche ripiegature.

Macchine che si pavoneggianosu fondi gialli, arancione, nerissimi, cardinalizi,

sprovviste di leve e pulegge.

A guardarle, mi sono ricordato dei pròunydi Lísitzkij, stazioni che, trampoliere e imperterrite,

si tengono in bilico nello spazio attonito

senza punti di appoggio sulla terracon librazione di circo e icarismo perfetto,

di quei pròuny in cui senti la suggestione del volo

e un inconscio legame con la malia del balletto.

Il balletto che incalza e sommuove dal suolo

anche le acchiappanuvole macchine di Perilli.

Ma quale è stato il mio stupore nell’avvedermi

che quelle macchine gaie come groppi di squillia tratti assumevano parvenze umane,

che quelle scatole si connettevano in corpi malfermi

senza stantuffi né sospensioni cardaniche,

insomma che quelle macchine eranodanzanti pupazzi di pezzi geometrici,

angeli scaltri sospesi tra il cielo e la terrae nemici del peso, dell’argilla, della pietra.

In questo mondo imbrattato di noia

danzate, danzate, macchine irreali,

come su fili di lame, su picchi e crinali,

danzate, vi dico, danzate, perchè vi sia gioia.


Angelo Maria Ripellino