Anton Roca
installazione
2RC Roma – 1999
Testo di Simonetta Lux
Il Movimento Interiore
In una Azione realizzata nel 1993 in località Badia di Montalto l’attante è rimasto per più di due ore con i piedi interrati di fronte a una quercia pluricentenaria: Anton Roca racconta questa esperienza come “incontro con l’alterità”, qualcosa che può avvenire “attraverso un atto di rinuncia del Sé nei confronti dell’Altro”.
Roca riconosce appunto alla Azione intitolata Movimento Interiore, l’inizio consapevole del trasformarsi da desiderio in realtà di quella che è la sua più forte e fondamentale aspirazione in quanto artista fornito ancora una volta nella storia di una riconoscibile identità: dare matericità, apparenza, insomma rappresentazione materica (e quindi costituzione di opera d’arte) alla grave carenza venutasi a determinare nel mondo d’oggi per quel misconoscimento dell’Altro e della Diversità in genere, incomprensibile eppure diffuso nel raggio della nostra esperienza degli eventi internazionali attuali più o meno vicini.
Il percorso di conoscenza e di realizzazione determinato a raggiungere tale obiettivo è intriso di senso lucido della morte (provienti dal nulla, scrive Anton Roca, ci inseriamo in un certo punto iniziale, cioè il nulla), ma non di disperazione. Il vissuto e il racconto della esperienza dell’arte (attuabile nelle più diverse modalità e mezzi) che ci dà Anton Roca, che è il primo a viverla all’interno e ad autoosservarvisi, è racconto di un mutamento interiore osservabile e della trasformazione del rapporto tra interiorità e realtà tra soggetto e oggetto, tra Sé e l’Altro.
“Ho costretto me stesso all’immobilità di fronte a una quercia tricentenaria con i piedi sepolti (una delle esperienze spirituali più piene della mia vita) nella terra. Inizialmente ho percepito una lieve sensazione di dondolio interno in un crescendo continuo fino a definire un movimento interno, non percepibile dall’esterno, che mi legava in una sorta di osmosi con la quercia, fino a renderci uguali, pari”.
Ora Anton Roca torna a Roma, anzi – dovremmo dire – al Tevere: è infatti con l’Azione Tiber, durata tre mesi nel,1994 appunto coinvolgendo tra le tante Materie dell’arte il Fiume che attraversa la nostra città, che Roca impugnava pienamente l’idea del ruolo rivelatore attribuibile all’opera d’arte nei confronti di quella difficoltà del mondo moderno di cui dicevamo sopra di riconoscere la Diversità, l’Alterità, l’Altro.
Il perno della poetica e – si può ben dire – filosofia di Anton Roca che si muove tra coscienza civile/politica e psicanalisi – è nel riconoscimento direi (e a ragione) al limite dell’ossessivo di tale difficoltà. Tanto che allora alle Materie dell’arte – che sono tutte le possibili, materiali ed immateriali – aggiungeva di fatto il suo stesso Sé, in quanto con quell’opera esplorava e mostrava il meccanismo a respiro sociale della rimozione (disconoscimento e negazione dell’altro) e nello stesso tempo mostrava la diversità nella natura stessa del Sé.
Ogni fotografia, disegno, assemblaggio, oggetto, Azione, installazione, quadro, di Anton Roca mostra, provoca per immedesimazione, compenetrazione o associazione prima nell’artista stesso e poi in noi l’atto di quella rimozione; e poi determina (tenta) il moto interiore necessario al ripristino di quella unità soggetto/oggetto, idea/materia che seppure evocante la universale tensione alla morte e al nulla, potrà nel tempo della vita liberarci della barriera interiore anche sensualmente accecante.Io sono… l’altro”, titola Anton Roca il paragrafo conclusivo della sua teorizzazione dell’arte, della sua stessa trasformazione interiore, a conclusione di una esperienza” alla quale – dice – si sottopone”.
Per lo scopo collettivo di questo sapere dell’alterità e di questo ricercare l’unitarietà “l’io artistico, acquista una valenza, per quanto sia possibile, impersonale, neutra che va oltre la sfera del personale per incontrare il collettivo: da egocentrico diventa egotopico”.
Al momento giusto – oggi – Roca propone di riportare l’arte nella linea dell’avanguardia, linea Duchamp-Beuysiana: purtroppo, come vogliono i tristi tempi di guerra, senza l’ironia dell’uno, senza la memoria storica individuale dell’altro.
Simonetta Lux