Impronte dell'arte
Galleria d’Arte Moderna – Roma – Aprile 2019
Coversazione tra Achille Bonito Oliva e Valter Rossi – 16 Febbraio 2019
Achille Bonito Oliva
Leonardo da Vinci ha affermato letteralmente, “ l‘Arte è cosa mentale ”, intuendo e praticando con la sua creazione che l’opera è frutto di un immaginario che sviluppa, dal polo dell’invisibile, una forma nello spazio del visibile.
La 2RC ha messo in pratica questa affermazione di Leonardo; Nel ruolo che avete avuto, non di esecutori ma di artefici, avete dialogato con l’artista, direi proprio sottraendo all’artista l’invisibilità della forma e portandolo a diventare cosa; E’ interessante che il vostro lavoro si è svolto all’insegna del nomadismo, di un attraversamento di linguaggi, di correnti e di continenti diversi, inglobando artisti di molte generazioni ma anche di diversi paesi.
Quale è stato l’inizio? L’artista che vi ha permesso di essere artefici del suo lavoro?
Valter Rossi
Lucio Fontana aveva la generosità di dare, a noi giovani, la motivazione per entrare fortemente nel mondo meraviglioso dell’Arte, ti lasciava libero… dicendo solo: “ cosa posso fare per voi? ”.
Con questa protezione, ci siamo trasferiti tecnicamente nel suo mondo in un tempo molto breve, dove lui potesse essere libero e spontaneo allo stesso tempo.
Ci siamo capiti al volo, non abbiamo mai dovuto chiedere nulla perché lui ti dava la sua disponibilità, e questo credo sia stata la cosa più importante; Ci ha fatto pensare che non dovevamo legarci al passato ma pensare al futuro; Ed è ciò che poi abbiamo fatto, cercare il nuovo, qualcosa che ci desse la possibilità di investire anche in noi stessi, cercando di non avere solo la firma dell’artista ma, soprattutto, produrre grande qualità e trovarci, ad opera finita, in un mondo nuovo anche per lo stesso Fontana.
A.B.O Credo anche che Fontana ha, in qualche modo, favorito la realizzazione dei suoi lavori con la 2RC in quanto ha operato attraverso una gestualità modulare, e la modularità permette di uscire dal sublime del gesto unico ma di sviluppare un metodo creativo.
La domanda, partendo sempre da Fontana, è: “In che modo il gesto creativo dell’artista resta come impronta sulle lastre, le matrici, che voi avete realizzato nel corso di 60 anni?
V.R La sua libertà, Fontana, l’applicava col gesto, che permetteva di aggredire qualunque materiale che amava: la carta, la tela, i metalli per noi, la creta per le sue ceramiche, e tutto ciò che lo interessava; Li toccava con la stessa sensibilità perché vedeva sempre la parte che sfondava per riuscire a far passare la sua luce, quello era il punto di partenza e d’arrivo di Lucio.
Le lastre matrici, nel momento in cui si trovano pronte, libere e vergini nelle mani dell’artista, diventano, sin dal primo gesto, il vero punto d’attrazione e, da quel primo segno, si apre un mondo creativo dove la sorpresa rimane latente fino alla fine del processo incisorio.
A.B.O Fontana ha sfondato il muro del suono, ha sfondato la materia, sviluppando una spazialità capace di creare il visibile, ma anche di accennare ad un’invisibilità che costantemente è tangibile nel suo lavoro. Quello che io ho trovato interessante nelle lastre matrici che voi avete messo a punto con Lucio, è l’esecuzione: L’opera non è una vacanza dell’artista, né è la semplice riproduzione di una formula ma, in qualche modo, ha anche una sua specificità.
Qual’é lo specifico della 2RC nel suo lavoro e nella sua produzione esecutiva?
V.R Fontana poteva tracciare un segno anche su uno scudo, così incidente da farlo aprire, esplodere ed, allo stesso tempo, dava la possibilità d’immaginare, al mondo intero, quello che è possibile vedere e fare al di là dello scudo stesso; Suggerendo a noi che non dovevamo, assolutamente, stare fermi al fatto che la tradizione della stampa d’arte, come spesso appare, porta a ripetere le tecniche in maniera meccanica, scientifica, accademica; E anche se la necessaria ricerca ti poteva portare all’errore, il tutto veniva in qualche modo recuperato, perché anche l’errore ci aiutava a pensare più in là, sempre più in là.
Una cosa che abbiamo sempre fatto, prima di avvicinare l’artista, è stata di prepararci, non solo tecnicamente, ma era stato necessario conoscere, preventivamente, il suo mondo personale, le sue abitudini, manie, desideri e la sua poesia.
Dopo l’esperienza fatta con Fontana abbiamo sempre studiato e scelto solo artisti che erano vicini a quanto noi speravamo di trovare.
A.B.O Voi avete operato sotto il segno della produzione e non della riproduzione.
V.R Assolutamente si! Solo produzione editoriale di qualità, dove l’artista potesse sperimentare e chiedere dimensioni impossibili, tecniche che non esistevano… e sentirsi sempre dire: si può fare!
A.B.O E trovo che siete anche stati artefici di un’originale specificità, per quanto riguarda il lavoro grafico, di chi è la colpa?
V.R Della nostra immaginazione, che può non avere limiti.
A.B.O Quale è l’immaginario della 2RC? Immaginario oltretutto collettivo.
V.R Per poter raggiungere le mete che, sin dal primo giorno, ci eravamo prefissati, è stata necessaria una grande immaginazione, non solo mia e di Eleonora ma di tutti i ragazzi che, per anni, hanno lavorato con noi e con l’immaginario di tutti gli artisti che hanno faticato e spesso gioito del lavoro che usciva dai torchi. Torchi ed attrezzature che progettavamo sempre più grandi ed efficaci, che venivano montati nei nostri studi, nelle varie parti del mondo o presso gli studi degli artisti stessi.
Nel nostro caso, tra me ed Eleonora c’è stata una simbiosi assolutamente non replicabile, e abbiamo sempre lottato con forte determinazione fino al momento della decisione definitiva, dove ognuno di noi lasciava il giusto spazio a chi, con quell’artista, era più in simbiosi, ognuno di noi aveva il suo ruolo; Eleonora ha sempre avuto per il colore una dote talmente naturale, talmente competente, che non esiste un solo artista che non l’abbia apprezzata per la sua maestria e sensibilità; Perché i colori che si usano per la stampa ed il modo di trattarli è assolutamente differente da quanto avviene per le tecniche pittoriche, perché per la stampa va seguito un iter tecnico particolare.
Bisogna conoscere, innanzitutto ed alla perfezione, tutte le tecniche incisorie; Ciò, ha permesso a Eleonora di dare il massimo della qualità, sfruttando, nel modo migliore, la sequenza delle lastre, la qualità dell’acquatinta e le loro possibili sovrapposizioni; Poi, bisogna conoscere la radice del colore dal quale partire, modificandolo, quando necessario, con piccoli interventi correttivi, seguendo la sua naturale sensibilità.
Per fare un esempio: quell’arancio che abbiamo realizzato nel primo soggetto con Francis Bacon.
Quando l’artista ha visto quella qualità di colore nato dalla sovrapposizione pensata da Eleonora, ha detto: “lavoriamo insieme”!
Quella prima prova si presentava, ai suoi e ai nostri occhi, con un colore talmente assurdo, per la sua unicità, in quanto l’artista c’era riuscito lavorando anni per ottenere quel colore infernale e, improvvisamente, se l’è visto apparire in una stampa.
Una meravigliosa acquatinta dove Eleonora aveva capito che si doveva partire dal nero.
A.B.O La 2RC ha operato proprio sotto il segno della produzione e non della ripetizione o della riproduzione. Ha sviluppato un plus valore, un valore aggiunto, nell’opera di questi artisti di diverse generazioni. Questo valore aggiunto è un frutto progettato o invece è un frutto che si è sviluppato progressivamente nel tempo?
V.R Si…! E’ un frutto che si è sviluppato e si svilupperà nel tempo; Perché, quando l’opera grafica è veramente compiuta, è una vera e propria nuova storia, anche per l’artista che si trova rigenerato.
E devo aggiungere che, per alcuni fondamentali artisti, è stata talmente importante, questa esperienza e convivenza con noi, al punto di semplificare o addirittura ispirare la loro pittura.
A.B.O La grafica produce la cosa mentale dell’artista perché prosciuga la materia.
Quali sono stati gli artisti, in questa avventura, in questi decenni, con cui si è creata una familiarità culturale?
V.R Devo dire che la grande curiosità e passione per l’arte, già dai primi anni, ci ha portato a fare scelte, nel mondo dell’astrattismo, che sono state un solco inamovibile per il nostro percorso che, da Fontana, ha avuto inizio.
Subito dopo, Burri con il quale abbiamo condiviso un lunghissimo percorso di vita, una forte amicizia e un’attività durata decenni, durante i quali l’artista ha preteso da noi, già dal primo incontro, quanto ancora non esisteva.
Il colore di Afro, il suo mondo veneto e la dinamicità della sua pittura ci ha aperto ad una diversa prospettiva ed abbiamo cercato nuove soluzioni a lui adatte, anche per risolvere complicate problematiche in un periodo negativo per la sua salute. E’ stato per noi un lavoro fantastico, perché Afro, in particolare con l’acquatina, aveva capito che, per le immense tonalità che la tecnica gli offriva, poteva costruire la sua immagine pensandola a colori ma creandola, alla fine, in mille toni di nero; Ad esempio: Il Grande Grigio, dove le matrici, nella loro duttilità, ci hanno permesso variazioni istantanee che è impossibile ottenere in altre tecniche, anche pittoriche.
E’ stata una seria sfida dove abbiamo stravinto, anche grazie all’amorevole contributo di Valeria Gramiccia, amica e assistente di Afro.
A questo punto, alla tua domanda: “Quali sono stati gli artisti, in quest’avventura, in questi decenni, con cui si è creata una familiarità culturale?”; Rispondo che: “Pur nelle diverse e svariate correnti e movimenti pittorici che si sono affacciati, negli anni della nostra attività, all’interno della nostra stamperia nomade, con il DNA di ognuno di loro, si è creata.”
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A.B.O
Si può dire quindi che, col vostro lavoro, la 2RC ha concettualizzato le forme dell’arte? V.R
Si…! Senza alcun dubbio, l’essersi trasferiti nelle varie e diverse parti del mondo, in modo nomade, vuol dire partire da un concetto di libertà, ed in particolare, disfarsi dei vincoli imposti per dar valore all’opera grafica, in senso universale, per la sua assoluta autonomia. A.B.O
E quale generazione di artisti quindi, facendo anche i nomi, ha più risposto alle vostre attese e ha dato i risultati, per quanto vi riguarda, più soddisfacenti? V.R
No…! Non trovo alcuna differenza tra le diverse generazioni che hanno sofferto e gioito con noi; Perché non c’è stato artista che non ci abbia introdotto, quasi sistematicamente, nel suo mondo ispirato e segreto; E per questa particolarità, davamo tutto il possibile con generosità, cercando, per ognuno di loro, una strada autonoma e diversa; In ogni caso, ogni artista, sin dal primo giorno, ci ha messo nelle condizioni di ricevere, nelle nostre mani, il loro testimone come un valore aggiunto di riconoscenza che, nel tempo, ha realizzato la nostra crescita tecnica e culturale. Per quanto riguarda i risultati soddisfacenti, direi che si può anche parlare dei risultati spesso esaltanti che hanno dato il via, il più delle volte, a lunghissime collaborazioni. E voglio aggiungere che ogni edizione uscita dai nostri torchi, solo per l’impegno dell’artista e della stamperia tutta, è come minimo soddisfacente. Se poi entriamo con delle istantanee sul nostro percorso, posso fare il nome di Fontana, per la sua integra purezza; Burri, per l’intransigenza e continua ricerca oltre la materia, pretendendo da noi l’impossibile; Capogrossi, per aver stuzzicato l’appetito del colore in Eleonora; Chillida, per averci fatto pensare a Segovia durante il processo tecnico, per la musicalità del gesto dell’artista durante la preparazione per una splendida acquatinta; E poi, Sonia Delaunay, Vasarely e Louise Nevelson che ci ha fatto entrare nelle sue ombre. C’è da dire inoltre che per Francesco Clemente, è talmente naturale lavorare in acquarello che non ha fatto alcuna fatica ad approcciare una tecnica incisoria, acquatinta acquarellata che si avvicina al suo modo di lavorare. Con l’artista, spesso abbiamo affrontato progetti in condizioni estreme e l’assoluta fiducia e massima integrazione, durante le fasi di preparazione e d’incisione, ci hanno fatto sempre superare ostacoli che poi diventavano un vero e proprio bagaglio d’esperienza. Lo stesso Clemente, nella primavera del 2014, è venuto a lavorare nel nostro dipartimento d’incisione 2RCCAFA di Pechino – nato nel 2009 con la mostra itinerante “Doppio Sogno dell’Arte” – e sin dalla prima pennellata d’acido che ha posato sulla lastra – di due metri per un metro – forte dell’esperienza vissuta in tanti anni di lavoro condiviso, tutto è ripartito come se non avessimo mai smesso. Inoltre, in quel clima che Francesco conosce bene, si è trovato a proprio agio, apprezzando anche le nostre grafiche prodotte con i suoi colleghi Cinesi, ed in particolare, il “Pinocchio” di Liu Ye. A.B.O
Che differenza c’è nel panorama della vostra produzione tra artisti europei e artisti americani? V.R
Negli anni in cui abbiamo avviato lo studio a New York, in Broome Street, era il momento in cui Andy Warhol che aveva scombinato le carte, in particolare nel mondo della grafica, perché non ha mai messo una sola mano su una lastra o su una pietra litografica, ha solo dato delle splendide idee realizzate benissimo dai suoi collaboratori in serigrafia, litografia e offset con numerazioni non certo limitate. Gli artisti americani, tra i quali Helen Frankenthaler, Sam Francis e George Segal, tornavano da noi succubi della situazione commerciale nel loro mercato prevalente, sicuri di trovare trasparenza ed etica, e la possibilità di stampare, in incisione, opere grafiche di grandi dimensioni. Ed è stata l’elevata produzione di grafiche di grande formato, in incisione, a distinguere la nostra produzione fra gli Stati Uniti e l’Europa A.B.O
Warhol è il Raffaello della società di massa Americana che ha dato elasticità alla società del consumo e, amputandosi le mani, ha sviluppato, paradossalmente, il valore unico della ripetizione. V.R
La rivoluzione di Warhol, penso ci abbia posto l’assoluta necessità di tornare ad una forma ETICA per la chiarezza che il mercato richiede, in particolare nella grafica d’arte che, senza il rigore necessario, finisce col dare valore a tutto e a nulla, specialmente nelle arti multiple. A.B.O
Da che cosa nasce la perizia della 2RC? V.R
La nostra perizia nasce innanzitutto dalla curiosità e dalla modestia. Io sono molto curioso per tutto ciò che mi circonda, mentre Eleonora, oltre ad una giusta curiosità, è assolutamente modesta in tutto, tranne che nella gestione del colore, dove è certa che la ricerca in questo preciso campo, per lei, non finirà mai, perché la crescita non può fermarsi. A.B.O
Direi che la 2RC conferma il pensiero di Leonardo da Vinci che l’Arte è Forma mentale. Questo si è attuato di più con gli artisti europei o con gli artisti americani? E con quale generazione questo concetto ha trovato la sua applicazione? V.R
Sicuramente tutto parte dagli artisti europei che si diffondono, per gemmazione, negli Stati Uniti, creando nuovi e vitali movimenti come l’Action Painting e la Pop Art; Tutto quanto è successo negli anni a seguire fino ad oggi; Noi abbiamo vissuto i vari e differenti movimenti dell’arte alle sue frontiere, perché mentre si lavorava in Francia, nello studio di Graham Sutherland, si lavorava anche a Los Angeles con Sam Francis: Artista nel quale la forma mentale era profondamente aperta ed istintiva. Allo stesso tempo, con Pierre Alechinsky, si metteva a punto un serio e continuo progetto di collaborazione, solo dopo aver trascorso un lungo periodo insieme a Bodrum, in Turchia, dove la necessità di approcciarsi al lavoro in un ambiente così diverso, era diventata un obbligo che poi, nel tempo, si è trasformata in una frequentazione stimolante per entrambi. Questo nostro continuo nomadismo è stato necessario per poter programmare un iter artistico, in qualche modo individuato, durante la nostra crescita; Il tutto fatto con un grande ottimismo e forse incoscienza ma, quando ti ritrovi al fianco di un’artista come Henry Moore, in una stamperia organizzata a Pietrasanta, esclusivamente per lui, con un desiderio quasi infantile di produrre una serie di opere grafiche, fidandosi solo di noi, credo possa considerarsi un atto di grande valore, al quale abbiamo risposto con una serie di acqueforti, acquetinte, puntesecche e splendide matrici di grandissime dimensioni con le quali abbiamo stampato i vari soggetti a tiratura molto limitata. A.B.O
La 2RC è frutto di una coppia di artefici e non di artigiani. Che differenza c’è tra l’artigiano e l’artefice? V.R
L’artigiano cerca di spacciare la tecnica che meglio conosce, spesso limitata, senza sapere le vere necessità dell’artista, e questo gli consente di orientarlo con facilità a produrre rapidamente l’edizione, per quanto è la sua normale competenza. L’artefice cerca di esplorare il mondo dell’artista per individuare e suggerire, nelle varie tecniche incisorie, lo spazio di autonomia nel quale l’artista si possa trovare a suo agio ma, ancor di più, conoscendolo a fondo, mettendogli a disposizione strumenti dove trovare una nuova via creativa che lo arricchisca e lo sorprenda, al punto di avviare un processo di ricerca continua. Quello che abbiamo cercato d’insegnare ai nostri Giovani in Cina e a Viareggio – con l’attività dell’Associazione Laboratorio 2RC Officina Contemporaneo – è proprio questo: “Non è la tecnica in sé che può stabilire la professione di incisore o stampatore, ma quanto spazio dai alla modestia per non sentirti mai appagato, in particolare nel giudizio che dai alla qualità del tuo lavoro”. La cosa bella che è nata in questi gruppi di giovani che abbiamo messo insieme, è che si sono integrati talmente bene, al punto di riuscire a fare cose che, individualmente, non sarebbero in grado di fare. A.B.O
Io credo che la differenza sia nel fatto che l’artigiano opera sulla conferma, mentre l’artefice, e quindi la coppia Eleonora e Valter Rossi, ha operato direi sulla possibilità di produrre, collaborando con l’artista, una cosa nel senso Leonardesco della parola, che non pre-esiste. Quale è l’artista che più di tutti, con la vostra collaborazione, ha prodotto questa infedeltà al proprio lavoro? Felice infedeltà naturalmente… V.R
Il più sorprendente è rimasto Fontana perché, in ogni senso, è stato talmente importante per noi conoscerlo e frequentarlo, perché senza di lui, forse non saremmo mai partiti; Quando lo abbiamo conosciuto, eravamo in una fase embrionale, molto aperti e liberi ma modesti per la preparazione avuta dal liceo/accademia, e ci eravamo resi conto che, se volevamo fare qualcosa d’importante nel mondo della grafica d’arte, si doveva partire da zero. Lucio ci ha dato la grande possibilità di avviarci con entusiasmo sulla strada del sapere, facendoci capire l’idea di ”concetto spaziale”, ordine, semplicità e armonia in uno spazio senza limiti, in modo concettuale. Lucio Fontana, nelle varie edizioni con noi prodotte, è sempre stato fedele al suo mondo creativo perché la carta per lui aveva assunto un peso specifico tutto suo, assente nelle altre opere da lui create, e forse questa si può considerare una sottile infedeltà. A.B.O
Si può dire quindi che la 2RC, paradossalmente, ogni volta ha schivato la riproducibilità, sfiorando l’unicum? V.R
Si…! E’ vero ed è quello che penso perché, per ogni singolo soggetto, le tecniche incisorie con le diverse varianti possibili e immaginabili, partono con un certo numero di matrici che l’artista elabora e lavora direttamente, e di cui deve saper immaginare il risultato, a stampa conclusa; Quindi, per tutto il tempo dedicato all’elaborazione e alla fase iniziale di stampa, l’artista vive un clima di eccitata attesa prima di raggiungere il buono di stampa; E solo in quel momento si dà il via ad un processo editoriale. Le matrici, in base al buono di stampa, vengono trattate da uno o più stampatori specializzati – secondo le dimensioni – formando un gruppo solidale che si assume tutte le responsabilità in quanto, un solo errore, anche minimo, durante il processo di stampa, si ripercuoterebbe sulla qualità del risultato. Alla visione dell’opera finale non ci troviamo, sicuramente, di fronte ad una riproduzione ma ad un unicum, lasciando comunque come testimonianza, le matrici biffate da cui tutto è nato. A.B.O
Nello stesso tempo, la 2RC ha una sua oggettiva modernità perché, superando il principio della creazione solitaria, crea un accesso a un elaborazione collettiva, quindi c’è il passaggio dall’Io al Noi. V.R
Si…! Ne siamo consapevoli sino al punto che stiamo cercando di insegnare questo ai giovani; Perché l’unico modo per essere veramente partecipi è quello di trasferire il tuo sapere all’artista, senza che lui se né renda conto, ed allo stesso tempo, dando l’impossibile, dall’artista apprendiamo cose che ci fanno crescere. A.B.O
Quindi in qualche modo, la 2RC lavora anche alle spalle dell’artista, a sua insaputa, attraverso il dialogo? V.R
Il dialogo è stato fondamentale con la maggior parte degli artisti che abbiamo conosciuto; Costruttivo per un buon cinquanta percento e addirittura necessario per altri artisti, come con Enzo Cucchi, col quale era indispensabile un dialogo profondo e inesauribile che ci ha sempre portato ad un analisi mirata dei progetti e dei problemi da superare; Solo con la massima collaborazione e trasparenza, si è arrivati a dar vita a quanto l’artista cercava di realizzare; Quello che in mesi di dialogo riuscivamo a fatica a focalizzare, diventava lampante nel momento in cui l’artista affrontava le lastre, spesso di dimensioni eccezionali e sempre più complesse, ma Enzo si era letto così bene il percorso nella sua mente, da affrontare con disinvoltura ogni ostacolo perché, in quel momento, quella precisa opera grafica, era per lui una vera necessità. A.B.O
Alla fine si crea questo matrimonio morganatico tra artista e artefice. Quali sono gli artisti con cui questo matrimonio morganatico ha funzionato di più, si è realizzato ed è rimasto nel tempo, e non si è passati al divorzio? V.R
Devo quindi tornare a parlare di Burri con il quale c’è stato un progresso tecnico, qualitativo e anche d’ispirazione che ormai è nella storia; Alberto non si è mai ripetuto, anche nelle tecniche che suggerivamo e adattavamo ai vari momenti della sua ricerca; Certe decisioni drastiche, come castigare certe preziosità insite nella tecnica, per noi sorprendenti ma, spesso per lui, invadenti al punto di castigarle e riducendone al massimo la parte esposta, lasciando solo qualche piccola traccia… vibrante. E poi non posso non citare Afro, per quanto già detto in precedenza. E molti altri artisti con i quali abbiamo collaborato per decenni, come Victor Pasmore che, con la grafica, è stato obbligato ad entrare in un sistema in cui gli si impediva di essere disordinato, come a volte era nel suo lavoro pittorico, e le trasparenze con le diverse acquetinte che mettevamo a sua disposizione, in pittura, non riusciva a ottenerle. Mentre Francesco Clemente sapeva sempre che poteva contare su di noi e, a quel punto, se nè approfittava, sapeva che eravamo disponibili negli sforzi e negli orari impossibili. A.B.O
Ma perché gli artisti sono come dei bambini, sono dei cannibali? Io sono un vampiro, ed è diverso, perché il critico poi si riscatta con la scrittura, la riflessione e l’originalità delle proprie teorie; Ma, inizialmente, ha bisogno del sangue dell’artista. Voi come facevate a contenere il cannibalismo dell’artista? V.R
Fissando precisi ed intensi periodi di lavoro in stamperia, oppure nel luogo più consono all’artista. Pierre Alechinsky fu uno dei primi perché, conoscendo il suo lavoro e dopo alcuni incontri avuti nel suo studio a Bougival, ci siamo resi conto di essere pronti ad un approccio tecnico responsabile e forse interessante, vista la particolare visione grafica delle sue immagini Cobra ma, ancor più nella propensione che l’artista, sin da subito, aveva evidenziato, al punto che decidemmo di raggiungerlo, con la nostra barca, a Bodrum in Turchia, stivando le lastre già pronte per essere lavorate, con una tecnica studiata ad hoc per lui. Ci siamo fermati per oltre un mese e lì sono nate “Mare Nostrum” e “Arbre de vie”. Importante è stato il seguito, quantomeno esaltante, con il risultato ottenuto con l‘incisione “Aveuglette” che ha convinto Pierre a smobilitare il suo atelier per dare maggior spazio alla cucina, facendo felice sua moglie Miki; E sistematicamente, la base per saziare il suo bisogno di far grafica, l’ha trovata, negli anni avvenire, a Roma, nella nostra stamperia. A.B.O
Mentre io capisco la facilità del dialogo con Pierre Alechinsky, la domanda è come avete operato con la generazione dell’informale? Come avete fatto ad esiccare la materia pittorica di quella generazione? V.R
Stimolandoli…! Solo dopo aver visto le nosre opere grafiche degli artisti che stimavano, realizzate con tecniche innovative che avevamo messo a punto per convincerli; Ripeto, stimolavano la loro curiosità che nell’artista è sempre presente. Ma la cosa fondamentale, è la nostra totale e immensa passione, senza alcun limite, per l’arte moderna e contemporanea. E con queste premesse, non abbiamo mai avuto grossi ostacoli nel convincere artisti di ogni tendenza a trovare, insieme, il giusto percorso. A.B.O
Walter Benjiamin ha scritto: “l’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica…”. Incide sul ruolo dell’arte la moltiplicazione? V.R
Si…! Secondo me, incide in ogni senso, specialmente quando non c’é chiarezza e trasparenza, ed è qui il grande problema non risolto, la totale mancanza di educazione; Per educare bisogna partire dalla scuola, dagli insegnanti, dai critici, dai galleristi, gli editori e gli stampatori; E forse sono gli artisti i più responsabili della poca credibilità che l’opera grafica rappresenta. Trovandoci in un mondo dove non si conosce minimamente l’importanza delle differenti tecniche, per poterle saper distinguere, dove gli addetti al lavori danno, il più delle volte, indicazioni sommarie e spesso volutamente false. Su questa base, come può reagire il mercato? Come può, l’opera grafica, incidere con il suo vero ruolo nella totale confusione di questo mercato? A.B.O
Io sospetto che hai educato anche gli artisti…! V.R
Certamente…! In particolare, nella necessaria discrezione di ciò che avveniva all’interno della stamperia, avevamo creato, in effetti, dei compartimenti stagni, dove ogni artista aveva il suo studio permanente, dove era protetto nella sua privacy, anche materiale, e non è stata mai mostrata una prova di un solo artista ad altri, se non dopo il buono di stampa; E non è mai uscita una prova, se non timbrata sul retro con la dicitura “copia solo per visione”; Questa rigidità ha sempre dato agli artisti un clima di serietà. Con Giuseppe Capogrossi, stavamo realizzando un‘incisione per la serie: “Presenze Grafiche”; Ma, in quei giorni, eravamo anche nella fase di stampa di un poster di Rothko, in litografia, per la sua grande mostra a Venezia, a Cà Pesaro. Capogrossi, vide nei fogli appena stampati, qualcosa che lo illuminò e mi chiese se era possibile averne una copia, perché aveva intravisto una possibile soluzione per il fondo di base della sua immagine che stava realizzando con noi; E’ ovvio che lo accontentai, trattandosi di un poster tirato poi in offset; Faccio questo esempio perché mi permette di sottolineare che la grande incisione di Capogrossi non è mai stata realizzata, causa la sua morte improvvisa; E la lastra matrice è stata donata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, esposta ora in mostra. A.B.O
In che modo la dimensione si ripercuote e condiziona l’opera grafica? V.R
La dimensione è solo condizionata dal limite tecnico che, come ho già spiegato all’inizio, si evidenzia nella differenza tra la figura dell’artigiano e quella dell’artefice; E quest’ultimo, ha orizzonti e mete diverse, al punto di non dover mai dire no… a qualsiasi sfida gli venga presentata. Quando all’inizio degl’anni ’60, gli artisti hanno sentito il bisogno di affrontare opere di grandissime dimensioni, questa operazione ha ancor di più allontanato il mondo della grafica, abituato ad attendersi piccole dimensioni che, fino a quel momento, erano prodotte con facilità, da un mercato spesso riproduttivo. Invece, si è dimostrato che le grandi opere grafiche prodotte dai vari artisti hanno la forza di confrontarsi anche con opere pittoriche uniche, con vita propria in qualunque spazio, anche museale. A.B.O
Ci sono degli artisti che per attitudine favoriscono la grafica, attitudine proprio linguistica; E rifaccio l’esempio di Lucio Fontana che ha una modularità nella sua gestualità; Ma, dall’altra parte, ci sono artisti come Francis Bacon che, invece, per l’iconografia che sviluppano, sembrano tendere ogni volta a un’opera che sfiora l’epifania, l’apparizione; Questa apparizione si riduce nella grafica? E come si tramutava questa immagine poi? V.R
Sicuramente, l’esempio di Fontana calza alla perfezione perché ci siam trovati, sin da subito, nel suo mondo; Mentre Bacon, solo per avvicinarlo e proporgli di lavorare insieme – pur con la mia perentoria e caparbia insistenza iniziata già dal 1975 – con un primo tentativo, assolutamente ingenuo, che dimostrò la nostra mancanza di preparazione per un artista che non voleva una parte di noi ma tutto il nostro futuro sapere. Lo incontravamo alle sue rare mostre a Londra, a Parigi e a New York dove, in un clima rilassato – ma non credo per lui – riuscivamo con la sorpresa a riprendere il filo del discorso, ma mai definitivo; Ma…! Forse un giorno…! Sì…! Fu Pierre Levée, direttore della galleria Marlborough di New York, a caldeggiare a Bacon l’idea per un progetto editoriale a cui l’artista teneva moltissimo, per realizzare un trittico con noi. La difficoltà era poter lavorare in una dimensione d’immagine che fosse abbastanza grande per far sentire l’artista a suo agio, usando gli stessi spazi creativi abituali, senza limitare il suo lavoro grafico ad un’immagine riduttiva, perché tutte le sue opere grafiche di piccola dimensione, fatte con altri editori, spesso in forma riproduttiva, rimangono, a mio parere, opere senza il necessario coinvolgimento emotivo. Il progetto poi è partito da una sua opera precedente, in quanto pretendere da Bacon di iniziare da zero, su una lastra di rame e lavorando al contrario, come la tecnica richiede, sarebbe stato un sogno impossibile da realizzare, mentre, con la possibilità di avere una base da cui riprendere un calco e trasportarlo sulla lastra, come facevano i grandi artisti del passato quando preparavano i cartoni per avere la traccia dell’opera progettata, e per poi poterla calcare per la tecnica dell’affresco, ciò ha reso possibile la sfida. Avevamo preparato la lastra di base di grande dimensione per il nero, pronta con l’acquatinta sulla quale avevamo trasferito l’impronta della sua immagine, facilitando al massimo il suo intervento durante le fasi incisorie, fin dove ci permettevano i suoi tempi e suoi metodi di lavoro, senza mai far sentire il nostro peso e quasi la nostra presenza, lasciandogli la massima libertà sulla lastra del nero e sulle grandi campiture. Ovviamente lo abbiamo aiutato moltissimo, preparando le lastre che sarebbero servite per essere complementari, per cui il suo sforzo è stato quello di dare un suo grande spazio d’attenzione e di giudizio critico nei vari passaggi; Veramente gratificante per noi, perché il suo tempo era limitatissimo in quanto, già dal mattino, viveva in un mondo per noi impossibile da immaginare. I suoi spazi erano assolutamente ingestibili. Ma, l’arancio del primo soggetto diede un eccezionale fiducia a Bacon e, da quel momento, la tensione si allentò e tutto il restante percorso andò in discesa. A.B.O
Nel nomadismo produttivo della 2RC, avete attraversato molte correnti, gruppi, linguaggi: Dall’Informale all’Action Painting, dal New Dada alla Pop Art e dall’Arte Povera alla Transavanguardia. C’è qualcuno di questi movimenti che più ha favorito la costruzione dell’arte come forma mentale? V.R
C’è da dire che siamo partiti da infatuazioni per artisti che erano i nostri punti di riferimento, già dal liceo, nati dalla nostra forte curiosità di capire i paralleli che legano l’arte, partendo dal passato al contemporaneo, per poi trovarci, fatalmente, nel nostro mondo; Lo stesso di Lucio Fontana e di Alberto Burri. Questa è stata per noi una grandissima opportunità, perché ci ha permesso, in breve tempo, quel raggiungimento tecnico per poter poi mirare ai vari movimenti, così diversi tra loro, di cui tu fai cenno. Tutti molto coinvolgenti e alla fine gratificanti. E devo aggiungere che la facilità di operare fisicamente con la nostra presenza, nei vari e diversi tessuti dell’arte contemporanea in Europa, negli Stati Uniti, in Giappone e, negli ultimi dieci anni, in Cina, ci ha aperto un orizzonte infinito al quale affacciarci, donandoci una magnifica esperienza umana e professionale. A.B.O
Com’é avvenuta la selezione degli artisti, la scelta? V.R
E’ avvenuta a gradi, partendo appunto da quegli artisti che erano nel nostro DNA. La figurazione è entrata nella nostra attenzione con Graham Sutherland e abbiamo iniziato a lavorare con lui per una curiosità nomade che abbiamo sempre avuto, finalizzata per poter creare una piccola stamperia a Mentone e vivere un mondo surreale con Lui, cattivo con la natura come può esserlo la natura stessa; In questo spazio delizioso, vivevamo momenti di forte intensità con Graham che godeva del nostro sapere tecnico perché, pur essendo stato maestro nelle tecniche incisorie, non conosceva l’acquatinta, e la sua curiosità ci ha portato con lui a immaginare e poi realizzare la cartella “Bees”, e poi il Bestiario di “Apollinaire”; Entrambi i percorsi molto difficili ma ci ha portati, suo malgrado, nel mondo di una figurazione surrealista immaginando cosa avrebbe potuto fare ancora. A quell’epoca non avevamo ancora il coraggio di entrare nel mondo della figurazione che avevamo volutamente trascurato, anche per le forti contrapposizioni politiche tra il mondo figurativo e quello astratto. C’era Guttuso contro quello… quell’altro contro Guttuso… Argan e Trombadori …. Dorazio contro tutti… A.B.O
Allora la figurazione era frutto di una mentalità angagè, politicamente parlando, e l’astrazione veniva vista come un’evasione? V.R
Il vero guaio è stato che gli astrattisti non collaboravano tra loro, erano ognuno nel proprio mondo, non hanno mai fatto un vero gruppo solidale come tu hai saputo formare con la transavanguardia; C’era la netta sensazione di essere in un limbo per soli strani intenditori degli artisti astratti, mentre la figurazione ha fatto corpo anche politicamente, pur con enormi differenze di qualità e percorsi, con acuti sorprendenti come Marino Marini, Giacomo Manzù, Renato Guttuso e altri, per non parlare di Giorgio Morandi e altri ancora del suo calibro che rimarranno nella storia dell’Arte. A.B.O
Certo, Manzù è sempre grafico e anche nelle sue sculture è lineare. Voi avete realizzato quello che io ho chiamato il “Doppio sogno dell’arte”; Partendo dal sogno dell’artista, siete arrivati a produrre il doppio sogno, vale a dire una dimensione che, non essendo fatta di pura riproduzione, ha anche favorito la diffusione dell’arte. Pensi che questa sia una funzione politica dell’arte? In senso buono? V.R
In effetti per Manzù fare grafica era naturale, aveva una spontaneità istintiva, il suo gesto è sempre stato lineare, limpido ed incisivo come lo sapeva cristallizzare nelle sue forme scultoree. Per Manzù bastava il segno per fare qualità. Certamente, la grafica di qualità che si attiene alle regole di trasparenza favorisce la diffusione dell’arte proprio quando le alte quotazioni raggiunte delle opere originali bloccano l’interesse, in particolare, nel mondo dei giovani. Sono certo che solo la chiarezza e la trasparenza delle tecniche e degli operatori darebbe il vero giusto spazio alla qualità, riducendo drasticamente la confusione che dilaga il tutto il mondo che, con le nuove tecnologie digitali, diventa incontrollabile. A.B.O
Quindi, diciamo che è una facilità che sottrae anche aurea all’opera? V.R
Certamente, quello che esce da queste nuove tecnologie, il più delle volte, sono immagini che non hanno un’impronta genetica caratteriale, sono interventi che potrebbe fare chiunque ed in qualsiasi parte del mondo; Non c’è nessuna autonomia, non c’è la capacità di saper improvvisare istintivamente con un gesto spontaneo; Perché, in questo caso, il vero padrone dell’immagine è la tecnologia. A.B.O
Qual’é la responsabilità di essere artefici e non artigiani, nella vostra esperienza? V.R
Di essere trasparenti, onesti, e di cercare di far capire, a chi è attratto dalla possibilità di avere un’opera d’arte, che è importante conoscere chi l’ha fatta e com’è fatta. E’ il momento in cui questa realtà necessita di una risposta concreta e assoluta. Infatti, con Editori, Stampatori, Artisti, Accademie e Licei, stiamo promovendo una nuova iniziativa: “Ethical Archive”. Stiamo cercando di dare la massima responsabilità agli artisti, agli editori e agli stampatori per dichiarare al pubblico, con la massima trasparenza, i requisiti delle opere grafiche e per mettere nelle condizioni di qualificare, finalmente, un settore che non attende altro, solo chiarezza. A.B.O
Come avete stabilito, in questi decenni, la numerazione e la quantità numerica dell’opera? V.R
Nel novanta per cento dei casi è stabilita dalla tecnica utilizzata. Ad esempio, semplificando, in incisione, l’acquaforte consente, in funzione del metallo utilizzato, d’ottenere tirature anche di alcune centinaia; Con questa tecnica, è fondamentale essere etici: Fare un’unica edizione e, dopo la firma e la numerazione stabilita dall’artista, in sua presenza, biffare la lastra. Le tecniche sono tante e se, sintetizzando, penso alla punta secca che, sicuramente, pur con tutta la cura e attenzione, raggiungere la quota di 50 stampe è già un buon risultato; Ma, già dopo le prime, quelle che seguono si affaticano sempre più; In questo caso, è l’artista che decide quante numerarne e firmarne. Quando invece si incide una lastra all’acquatinta, con la giusta attenzione, si possono, al massimo, stamparne novanta o cento buone. E’ raro poterne produrre un numero maggiore; Durante le fasi di inchiostrazione e di pulitura le lastre, inesorabilmente, si consumano; E poi, vengono sottoposte alla pressione del torchio da stampa, per evidenziare i valori più sottili tracciati dall’artista, che sono assolutamente necessari e sono la vera vita per un’incisione di qualità. A.B.O
Da tutto questo, si desume che la 2RC è stata anche portatrice di un valore non meccanico: “la sensibilità”. In che modo questo si è sviluppato nel vostro lavoro? V.R
La sensibilità è la condizione fondamentale per essere in grado, in ogni circostanza, di dare all’artista quello che lui si aspetta da te, al punto di sorprenderlo; Infatti, è stato un continuo progresso per tutti gli artisti che ci hanno frequentato; E anche per noi, perché i risultati reali e visibili lo hanno dimostrato, ed è la nostra grande valvola di sicurezza che ci dà la vera forza e garanzia per andare avanti, con lo stesso metodo, per tanti anni ancora, con i nostri amici artisti, ovunque si trovino. A.B.O
Questo ha favorito di più il rapporto con Artisti Europei o con Artisti di altri continenti? V.R
Non c’è alcuna differenza perché, quando è stato necessario, ci mettevamo nelle condizioni di trasferirci, improvvisamente, con macchine, attrezzature e, alcune volte, con i nostri giovani stampatori. Siamo andati a New York, dove abbiamo aperto una vera stamperia, in Broome Street; Un’operazione incredibile che, sin da subito, ci ha fatto entrare in quel mondo così diverso ma assolutamente eccitante e positivo per la nostra crescita. Con Helen Frankenthaler abbiamo fatto un’incisione – “Broome Street at Night” – che, quando la vedi, pensi subito a New York City; Ed è ciò che vedevo ogni notte dalla mia finestra. Con Nancy Graves, come un rito, si iniziava a lavorare Roma nel nostro studio alle Terme di Caracalla dove, nel giardino e da ciò che la natura, oltre alle rovine romane, gli suggerivano, iniziava il suo percorso di lavoro sulle lastre; Sapendo, a priori, che quelle lastre sarebbero transitate nel nostro studio di New York dove, sicuramente, sarebbero state rilette e rielaborate per farle sentire solo sue; Alla fine, le lastre, dopo il buono di stampa, rientravano a Roma per la stampa dell’edizione. Queste sono opportunità di cui ci sentiamo fortunati: L’ambiente giusto con le persone giuste nei momenti giusti. A.B.O
Negli anni ‘50 e ’60 c’era questo spartiacque tra figurazione e astrazione; Poi, si è arrivati, per esempio con la Pop Art, ad un’iconografia assolutamente riconoscibile, sia perché produceva immagini legate al quotidiano, sia perché è nella poetica di questa corrente anche l’idea di superare l’unicità del segno o della forma. Questo ha favorito il vostro lavoro? V.R
Certamente e in modo straordinario! A.B.O
Con chi per esempio? V.R
Con George Segal, inizialmente, avevamo dei dubbi perché lui era uno scultore di forme plastiche, tridimensionali, aggressive, e nelle sue opere c’è un mondo ebraico tragico e, conoscendo il personaggio, ti rendi conto di quello che ha prodotto e perché lo ha ingessato; Per poterlo avere da noi a Roma, nel 1980, avevamo stampato un primo bassorilievo e, successivamente, una serie di 5 soggetti per il Metropolitan Museum di N.Y.; Splendidi oggetti tridimensionali, ma lontani dal mondo della grafica, dove invece speravo di poterlo portare; Bisognava solo trovare la strada giusta. Quando Segal è venuto a Roma con tutta la sua famiglia, per lavorare con noi, siamo rimasti tre giorni senza saper bene cosa fare; Poi, una mattina mi sono detto: “Ma… scusa… Lui fa i calchi delle persone per le sue opere”, “perché non possiamo farci calcare noi stessi sulle lastre, come modelli?”. Ho preparato una tecnica adatta in cui Lui ci rotolava sulla lastra, e quando la toccavamo, lasciavamo l’impronta; Con questa nuova tecnica che mi ero inventato, una volta decapata e incisa, sulla lastra apparivamo Noi in una visione dilata, come in un cartone animato che si allunga; George poi ha ridotto questa sproporzione data dal dilatamento, chiudendo le parti con la vernice resistente all’acido, con un nero che faceva da fondo, facendoci uscire quasi proporzionati, perché improvvisamente il campo visivo si era ristretto. A.B.O
La grafica, anche nel vostro caso, sfida la bidimensionalità e assorbe anche una tridimensionalità progettata dall’artista? V.R
Dopo questa serie dei Blue Jeans, mi domandavo cosa potevamo fare in seguito con George, fino al giorno in cui siamo entrati nel suo studio nel New Jersey, e ho visto un piccolo e splendido disegno a matita su carta; E chiedo: “ma è un tuo disegno questo? Hai fatto degli altri disegni del genere?”; Apre una cassettiera ed esce con una serie di splendidi disegni, anche grandissimi. A quel punto, è scattato un nuovo e diverso pretesto per poterci ingaggiare. Così è nata la serie dei ritratti, incisi dall’artista nel nostro studio di New York, venendo per oltre un mese, tutti i giorni al mattino e se ne andava a pomeriggio inoltrato; Ha lavorato con noi, su ogni lastra, realizzando una serie di ritratti stupendi che raggiungono la tridimensionalità, in un mondo rinascimentale. Mentre, in casi come Arnaldo Pomodoro, dove il rilievo plastico era una necessità assoluta, abbiamo dovuto necessariamente trovare soluzioni tecniche che risolvessero il problema della tenuta della carta all’enorme pressione del torchio, per raggiungere tutti i passaggi e i piani pensati, voluti e ricavati nella creta; Materia naturale sulla quale Arnaldo aveva la massima esperienza per ottenere poi le matrici che, per grandezza e colori, ci hanno messo alla prova per anni. A.B.O
La contaminazione tra astratto e figurativo sviluppata dalla Transavanguardia, in qualche modo, ha creato anche una fluidità nel tuo rapporto con gli artisti? V.R
Certamente, all’inizio ho avuto qualche difficoltà, ma non è stato per il loro modo di dipingere, sono stati i personaggi che ci hanno portato a prendere certe decisioni di lavoro; Con Francesco Clemente, con Enzo Cucchi in modo totalmente diverso e, per ultimo, Sandro Chia che ci ha permesso di misurarci nella sua particolare e personale figurazione; E nel 2014, abbiamo iniziato la sperimentazione da dove poi è nato il progetto del libro “Sei Canzoni”, poi pubblicato nel 2017. Un paio d’anni prima, in Cina, abbiamo lavorato con Zhang Xiaogang, artista molto particolare, prezioso per i dettagli e le trasparenze dei segni che legano la luce attraverso i colori, in modo trasparente, quasi fatuo; Per lui, abbiamo dovuto portare il valore dell’acquatinta agli estremi di leggerezza, quasi di impalpabilità, per far rivivere il suo mondo di tradizione e sogno. Questa esperienza tecnica ci ha aiutato a dare la possibilità a Sandro di far vivere i suoi personaggi nel giusto clima, sua essenziale forma di poesia. Nel 1990, Francesco Clemente ci ha presentato Julian Shnabel, un personaggio stravagante e vulcanico, nel suo lavoro, come nella sua vita, molto interessante; Ed è riuscito a convincerci ad organizzare uno studio a Montauk NY, dove l’artista ha potuto dare sfogo, in modo istintivo, a tre enormi dittici di grandissimo valore grafico. A.B.O
La mia proposta di esporre le lastre, le matrici, credo che favorisca anche una lettura meritoria del lavoro della 2RC; In quanto, c’è una prova tangibile e credo si possa dire che siete partiti dalla scultura per arrivare alla pittura. V.R
Ogni matrice è concretamente solida e, a seconda dello spessore del metallo usato, si può arrivare a creare anche un basso rilievo ma, la vera magia è che, con le diverse tecniche che l’artista ha a sua disposizione, dimentica, il più delle volte, il suo mondo pittorico o scultoreo per approdare in un mondo autonomamente solo grafico. A.B.O
L’esposizione delle lastre matrici che sono anche il segno di una realtà creativa, è la traccia del bisogno dell’artista di passare quasi attraverso il graffito per arrivare alla produzione della forma finale; E questo, mi ricorda, se così si può dire, l’arcaicità della creazione dell’arte, proprio come il segno che si ritrova nelle grotte, il bisogno che l’artista aveva allora di rappresentare la caccia per arrivare alla preda; E mi sembra una conclusione circolare nell’esperienza della 2RC, come partire dal primitivo per arrivare al contemporaneo. V.R
Le lastre di cui parli sono le impronte digitali dell’artista, l’originale è quello, ma lo devi vedere – nel caso che il soggetto sia a colori – composto dalle varie lastre per i colori necessari alla sua immaginazione, e perciò è l’impronta formale, l’impronta decisiva, il vero carattere è lì nel suo complesso. Poi si trasferisce come una specie di trasfusione alla carta, per diverse letture, ma l’originale creativo è quello. A.B.O
Le lastre matrici che noi esponiamo sono proprio la prova di come si parte dall’impronta dell’immaginario dell’artista, un’impronta solitaria per arrivare poi alla cosa mentale, alla forma, all’edizione, che poi è il frutto di questo rapporto tra l’artista e l’artefice.